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Saggi di critica d'arte

261821
Cantalamessa, Giulio 33 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Saggi di critica d'arte

gagliardia, ch’egli aveva intraveduto nella vergine natura primitiva, e poi attribuisce a quest’uomo sì trasfigurato e forte tutte le infelicità della

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preme di conoscere e di disegnare coll’abituale sua precisione geometrica tutto lo svolgersi di quei rami stupendi. Per uscir di metafora, dirò ch

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; dichiarazione questa ch’era inutile di fare a voi, giacchè, se lo credessi, avrei scelto altro argomento alle mie parole, ora che una cortesissima

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, fu rivista appassionata ed assimilazione di quanto le arti italiane aveano prodotto di più fulgido; fu ritorno al buon senso ed alla vita in quel ch

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Sebbene Guido si maturasse artista colla scorta dei Caracci, e questi abbiano il precipuo vanto della gloria ch’ei seppe poi procacciarsi, m’è parso

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Nella scuola dei Caracci Guido si maturò innanzi tempo. Le copie ch’ei fece di due quadri di Annibale, la Deposizione e l'Elemosina di S. Rocco

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pittorici; e difatti il periodo caravaggesco durò poco. Si narra ch’egli un giorno udisse da Annibale Caracci su per giù questo discorso. “Il Caravaggio

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Madonne di artista antico gli destavano l’emozione ch’ei provava innanzi a quelle di Lippo. L’eredità resta infruttifera anche questa volta; ma, circa un

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rielaborato dai pittori cristiani. Si direbbe ch’egli abbia pensato che ad adattarlo alle esigenze della sua fede bastassero le sole sue forze, e non s

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’Annunziata ch’è nel palazzo comunale di Ascoli-Piceno, e se io credessi, Signori, che potesse interessarvi la descrizione dei miei primi ardori estetici

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singolari apparizioni di cui la Madonna l'aveva degnato. Diceasi pure che potenti ispiratrici gli fossero due rare bellezze, ch’erano a Bologna in quel

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la massima accusa fatta a Guido è di snervatezza e vacuità di stile; guardate il filisteo morente ch’ci comprime col piede, e ditemi se quella testa

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misura dell’espressione, acciocchè mai la grazia non trasmodi in leziosa affettazione. Non ch’egli abbia accettato dal Perugino e norme e abitudini

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Misericordia sia stato il primo saggio pittorico di lui, e ch’esso avesse la data del 1490. Ma nè quella tavola ha la data che si dice, dopo che il

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’abbiano resa domestica fin dagli anni più giovani e consociata cogli atti abituali dello spirito. Si direbbe ch’egli abbia sempre un po’diffidato di sè

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trecentisti, che imitarono la natura seguendo i ricordi delle impressioni ch’essa avea destate, i quattrocentisti la vollero immediata consigliera dell’opera

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Ma la natura di questo ingegno non sarebbe completamente definita, la misura ne sarebbe troppo vagamente limitata, se non si aggiungesse ch’ei sentì

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l’artista ad uno stile che può parere men fermo, sarebbe ingiusto dire ch’ei vada nella mollezza e non riassuma da valent’uomo quanto di più

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bene et fortuna.„ Non traspare da quel caro, da quell’augurio fatto nel suo segreto ad un giovane ch’ci non pensava forse di riveder più, una grande

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più se non per lui, dedicandogli intera la fervida vitalità del suo ingegno e contribuendo mirabilmente a spargerne la fama. È ben naturale ch’egli non

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dissimile da quella ch’era stata la sua, anzi da non destargliene neppure il desiderio. Noi siamo degl’infelici sempre irrequieti alla ricerca di un ideale

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, la cui affermazione, essendo fondata sopra le vacchette del Francia ch’ei consultava e di cui fa menzione anche a questo proposito, non può essere

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iniziativa, ma ravvolto meschinamente, intricato e stretto nei legami della scuola, ch’ei porta male, pieno d! perplessità e di paure, le quali

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Costa, il quale nella maniera ch’egli incominciò a praticare sul cader del secolo XV ebbe appunto queste intonazioni vigorose, queste teste un poco

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Ed ora lasciate, signori, ch’io chiami la vostra immaginazione a contemplare un’altra scena. Quel cumulo di meraviglie ch’era il palazzo Bentivoglio

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quali saranno necessariamente meschine e da ultimo anche nauseose, perchè formatesi al chiuso, all’ombra, senza la cooperazione di quel sole ch’è il vero

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michelangiolistica in quel ch’essa poteva avere di più eletto, e non senza indipendenze frequenti e ribellioni in cui s’alza trionfatore il buon senso

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Ma è tempo ch’io dica alcune parole dei raffaellisti, due dei quali specialmente occupano colle loro opere sì largo posto in quel periodo della

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isforzo ch’ei faccia, di sopprimere ogni residuo della propria personalità. Infatti i due pittori, di cui ci occupiamo, benchè pienamente concordi nel loro

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disgrega audace i gruppi, ne snerva la robusta compagine, ma non rinunzia a riprodurla. Si narra ch’egli in tali casi si scusasse dicendo che, poichè

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Abbiamo in Bologna un bel documento di quel ch’era Innocenzo prima di diventare raffaellesco. È una Risurrezione dipinta in affresco sopra la porta

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guscio, giacchè non abbiamo memoria ch’egli andasse mai a Padova, a Venezia, a Roma, a Milano, dovè sentirsi pungere nell’animo quell'amara verità per cui

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’idea di quel ch’ei valesse come pittore di tavole d’altare, si guardi lo Sposalizio della Madonna in pinacoteca. L’imitazione di Raffaello c’è; ma

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